Tra la biografia e il saggio storico, Memòries d’un rebel di Frederic Bentanachs costituisce una testimonianza che, sebbene talvolta non riesca a passare dalla rievocazione personale alla riflessione più ampia, ha però il merito di catapultare il lettore negli anni turbolenti del tramonto del franchismo e della cosiddetta transizione alla democrazia, ricostruendoli secondo un punto di vista critico che ne smentisce la idillica versione ufficiale.
Nato nel 1956 in un piccolo paese della Catalunya centrale, Bentanachs rievoca l’atmosfera repressiva del regime degli anni ’60, che segna la crescita personale, ancora prima che politica, dell’autore: «il castigliano era obbligatorio per tutti e il catalano semplicemente proibito». Il controllo del regime si estende in quel momento a tutti gli ambiti della vita sociale: «Per dimostrare di aver assistito alla messa della domenica, dovevo portare a scuola ogni lunedi il foglio parrocchiale». Il franchismo è agli sgoccioli ma non per questo attenua i suoi tratti repressivi (basti pensare che l’ultima condanna a morte, quella del militante anarchico Salvador Puig Antich, viene eseguita nel 1974).
Figlio di un ex-combattente repubblicano, cresciuto sotto l’influenza della forte personalità della nonna (membro di Estat Català) nella cui casa di Barcelona matura una precoce consapevolezza politica, l’autore respira nell’ambiente familiare un sentimento di sconfitta e una curiosità per il maggio ‘68 che agiscono come una miccia. Già da giovanissimo si rende consapevole della doppia oppressione, nazionale e di classe, che soffre il popolo catalano e contro la quale impronta tutto il suo percorso politico. Tra il 1975 e il 1979 milita nell’organizzazione giovanile del Partit Socialista d’Alliberament Nacional-Provisional (PSAN-p) e nel sindacato rivoluzionario, nel quale vive le prime esperienze politiche, fino a partecipare alle attività del nucleo embrionale di Terra Lliure, organizzazione armata per il socialismo e l’indipendenza dei Països Catalans.
Bentanachs ricorda che tre anni dopo la morte del dittatore «la Spagna non aveva approvato una costituzione borghese, piú o meno democratica; e ancora vigevano le leggi delle Corts franchiste». L’undici settembre del 1978 la manifestazione che si svolge a Barcelona per celebrare la festa nazionale di Catalunya si rivela drammatica. Nel corso degli scontri la polizia spara e uccide un manifestante sotto gli occhi dell’autore: «…mentre Gustau Muñoz cercava di dileguarsi, da un gruppo della brigata político-sociale gli spararono alla schiena. Barcollando e sanguinante cercò di arrivare fino al carrer Ferran, dove tentammo di aiutarlo portandolo al riparo dentro un portone».
Il processo di transizione alla democrazia non significa la fine del franchismo, che sopravvive nei settori chiave dell’apparato statale. Sconfiggere il fascismo, costruire uno stato indipendente e socialista, diventa l’obbiettivo di Bentanachs e di una parte minoritaria, ma dal rilevante peso specifico, della sua generazione. Assieme ad altri cinque giovani, Bentanachs parte alla volta del paese basco per ricevere un addestramento militare che la vicinanza ideologica e la solidarietà tra il nazionalismo basco e quello catalano rendevano possibile. In Euskadi i cinque incrociano la strada di ETA e toccano con mano per la prima volta l’esperienza drammatica della clandestinità. “Txomin”, responsabile politico e militare di ETA, gli avverte: «Avete un anno di vita; può accadere che in un arco di tempo di due o tre mesi qualcuno di voi muoia o che finisca in carcere».
Di ritorno a Barcelona il gruppo programma l’assalto a un furgone blindato in modo da procurarsi il denaro necessario a finanziare la lotta ma l’azione si rivela un fallimento e si conclude con la morte di uno dei membri del nucleo: Martí Marcó. La riflessione dell’autore è amara: «Il film della favola dei ragazzi che volevano giocare alla rivoluzione finisce in una sola notte. Improvvisamente ci trovammo con un compagno in clandestinità, un morto, armi, un appartamento vuoto, un covo e un debito con ETA. L’utopia era finita».
Secondo Bentanachs il debito si sostanziava in un paio di azioni che i militanti baschi avevano chiesto fossero rivendicate a loro nome e dirette contro gli interessi francesi in Spagna. Per questo il gruppo progetta gli attentati contro una concessionaria Renault e un centro commerciale Carrefour a Barcelona. Felix Goñi e Quim Pelegrí si incaricano di piazzare una bomba alla concessionaria mentre Griselda Pineda e Bentanachs fanno da gruppo di appoggio. All’una di notte, trasportando un ordigno esplosivo alla concessionaria, Felix Goñi salta in aria e muore.
Tre giorni dopo la polizia arresta Bentanachs e lo porta al commissariato della Via Laietana di Barcelona dove per una settimana viene tenuto in isolamento e torturato: «cercarono di soffocarmi con una borsa di plastica, mi colpirono con una coperta bagnata e con un casco in testa mi picchiarono con una spranga di ferro […]. Non mi lasciarono dormire per ore e mi appesero a quella che chiamavano sbarra democratica. Spogliato e ammanettato ti appendevano e ti picchiavano i piedi». Con il sostegno della famiglia e degli amici di Sanaüja, il paese di origine, inizia il soggiorno nelle carceri spagnole, prima alla Model di Barcelona, entrando a far parte di un popolo di prigionieri politici che il carcere intenta rendere invisibili e spogliare della propria dignità.
Dopo aver partecipato a una rivolta viene trasferito a Carabanchel, dove si integra nel collettivo di ETA-m: «i milis ci trattavano come se fossimo dei loro, eravamo riconosciuti nelle assemblee come militanti a pieno titolo, con diritto di parola e di voto». Con i prigionieri di ETA-m condivide la vita quotidiana, le lotte interne al carcere e lo sciopero della fame. Contemporaneamente Terra Lliure mette a segno le azioni piú importanti contro lo stato spagnolo in Catalunya. La condanna a quattordici anni chiesta dal pubblico ministero è una vera e propria doccia fredda. È accusato di rapina, intimidazione, strage premeditata, possesso d’armi da guerra, possesso d’esplosivo e rinviato a giudizio il 20 febbraio 1981. La sentenza di condanna è inaspettatamente piú favorevole delle previsioni: quattro anni. È la pena per aver preso parte, come scrivono i giudici, a «una organizzazione armata strutturata gerarchicamente, che attraverso il ricorso alla violenza pretendeva raggiungere l’indipendenza della Catalunya in un regime socialista».
Uscito dal carcere nel 1982, l’autore partecipa alle vicende del Moviment de Defensa de la Terra (MDT) e dell’indipendentismo catalano degli anni’80 e ’90 dalla seconda linea. Anche per questo il libro tratta questi anni superficialmente, peraltro senza approfondire né l’analisi della composizione sociale del movimento né la storia di Terra Lliure.
Ciò che invece viene messo a fuoco in maniera più convincente è il passaggio dal franchismo al regime democratico: per Bentanachs l’avvento della democrazia è poco meno di un inganno, dal momento che il fascismo spagnolo non viene sconfitto sul campo di battaglia ma semplicemente accetta di venire a patti in seguito alla morte di Franco. Si tratta di uno sguardo differente sulla transizione spagnola, un processo spesso indicato dalla vulgata dominante dei politologi come esemplare, in grado di portare in modo indolore dal fascismo alla democrazia. Ma davvero è stato cosi? E un regime nel quale la polizia puó impunemente torturare nelle proprie caserme, come testimonia l’autore, puó definirsi democratico? Non fosse che per il fatto di sollevare questi interrogativi, il libro vale la pena.
Così come vale la pena la riflessione sul significato della propria esperienza di lotta e sul senso di alcune parole come ad esempio terrorista. Bentanachs non vuole sfuggire alle proprie responsabilità bensí inserirle nel giusto contesto storico: «Sono ben cosciente che per tutto quello che ho spiegato nel libro, daccordo con la terminología di moda oggi sono stato un terrorista e che inoltre questa parola provoca orrore e rigetto […]. Peró a parte queste considerazioni, senza dubbio generalizzazioni prodotte dal pensiero unico […] qualsiasi embrione di lotta per la libertà e la giustizia sociale deve scontrarsi con il sistema…». Terrorista è un epiteto che i vincitori, coloro che si mantengono al potere, lanciano contro gli sconfitti ma che si potrebbe rivolgere anche a molti stati, «o è che le bombe della NATO non uccidono esseri umani innocenti? O è che le multinazionali non fanno terrorismo ecologico per espandere le proprie attività inquinanti; o è che i consigli d’amministrazione di banche e grandi industrie non fanno terrorismo, facendo firmare alla classe operaia impoverita contratti da fame…».
Se nel modo di raccontare la propria storia, dichiaratamente di parte, non troviamo la pretesa dell’obbiettività e la profondità dell’analisi (tipiche del saggio storico) dal racconto di Bentanachs emerge invece in maniera evidente un’altra qualità: l’autenticità del personaggio e della propria versione dei fatti.